C'è qualcosa che mi somiglia!
La scopro di sfuggita
nell' andare verso il mio non-so-dove incespicando nella mia ingombrante ombra. È il dissolversi del tempo, il suo non-più-tornare: guizzo impazzito dentro i suoi ombrescenti spazi sempre più lontani. E tu ombra, fedele ombra perché resti a guardare l'ora che effimeramente appare?
C'è qualcosa che mi somiglia:
è lei, la dissolvenza,
l'ombra
assurda, sfuggente, scolorita.
E la vorrei fermare,
e la vorrei annientare.
Con i coltelli affilati
del mio pensiero
la vorrei affettare
e la vorrei tradire!
Oggi ho poggiato la
a mia testa sul cuscino.
Il resto del corpo
l'ho mandato altrove.
Erano stanchi entrambi.
Non ne volevano più sapere
l'uno dell'altro.
-Mi sono rotta!
Qualcosa da obiettare?
-Si, si, certo,
così non si può stare,
non ci si può spiantare
come un ramo sradicato
in mezzo al mare.
Un gesto della mano
accennasti: addio!
Era finita.
Le lancette delle ore
che prima erano affettuose
improvvisamente girarono al contrario:
contro di me
vennero a colpirmi
indifferenti
astratte,
dolorose,
puntigliose
Vago un nontempo
da me mai assaporato:
Non c'ero, eppure c'ero
La testa girava quasi a distanza,
intollerante di nessuna vicinanza
tua
Come il giorno che dalla notte muove
e verso la notte va
e tu sai che appartiene alla notte,
ma: a quale notte?
Così ci perdemmo entrambi
nell'addio.
Il momento, l' "ora"
del nostro tempo
dileguava tra "era stato" e
"mai sarà"
oscillantemente.
Liberazione fu, forse,
o fu tormento?
Venite con me certezze perdute, aspettative deluse e voi ancora speranze non abbandonate.
Opinioni fugaci, appena apparse
e poi, d’un subito, disperse
Mi giocai molto su di voi, sapete?
E persi. Più di quel che credete!
Era imprudenza? O solo buona fede?
Chi può mai dirlo, ora che non ci siete!
Venite con me ansie, paure, gioie culle delle mie notti. E voi frecce nell'anima spezzate, baci sorpresi, nell'istante sospesi, carezze dardeggianti ed infuocate
Volti fugaci e volti che ho nel cuore:
parenti, amici, amati amanti, figli dolciamari.
Fuori dal tempo, tutti siete alla pari
Venite, venite a me, affollatemi il cuore pezzi della mia vita ormai a brandelli.
Vuoto, mi attrai:
sguardi infiniti persi nel nulla,
ombre vaganti
In un bianco sfolgorio di luce
Vuoto, mi attrai
in quella tua primordiale
pienezza,
nella tua ineffabile bellezza:
nulla è da dire,
nulla da sentire,
nulla da capire
Vuoto, mi sfiori, passi oltre!
Cos' è un suono?
Forse un' idea raccolta altrove,
emersa da un magmatico grigiore
Come dal nulla un fiore
Ecco: ne percepisco uno
Viene a visitare il vuoto.
Resta sospeso lì, in attesa,
Vertigine infinita:
Forse questa è la vita.
Cerco altro da me, cerco te.
E fremo e brucio.
Non basta la vita!
Lascia che io per te non abbia età,
lasciami nel tuo sogno.
Lascia che io per te non abbia voce,
lasciami tra le note
della musica bella che suonavi
mentre di desiderio mi avvolgevi.
Lascia che la mia pelle abbia il profumo
di quell'alba fresca e dolce, voluttuosa
che per entrambi era tinta di rosa,
quasi solo un sovrano
potesse entrarvi dentro
per cogliere come primizia
quel momento.
Lasciami dietro il velo del ricordo,
giovane e bella come una fanciulla,
quando incendiavi il sole al tuo apparire
ed io arrossivo al tuo adorato ardire.
Il nostro desiderio non era un gioco,
ci marchiava le viscere di fuoco
Lascia che io scompaia dalla tua mente,
lascia che riappaia poi improvvisamente.
Lascia che la mia sagoma continui
a proiettarti oltre i tuoi confini
e ti rilanci con non celato ardore
dentro la tua realtà di sognatore
Il tempo della poesia non ha minuti. Tempo infinito e breve non si scopre, scorre sopra il pensiero, dentro l’anima si muove. Tocca polvere d’oro e di miseria, agita onde di un mare sognatore, abita anfratti il cui sovrano è il cuore E' il tempo per l'intimo, per il profondo, per l’altro da te che, sempre inattingibile, è ricordo. Solo un dardo scoccato da te stesso può penetrarlo raggiungendo l'anima e trapassando il cuore. Poi sarà la fine, poi si muore.
"Ho paura ad amarti così",
bisbigliasti sopraffatto
dall' incanto
Pallido il tuo sospiro
nel turbamento ardente,
respiravo quel respiro.
Tremavano gli occhi
appassionatamente fusi,
liquidi di emozione.
Quale di me o di te,
impossibile dire.
Febbre ci prese gelida,
scolorava il cuore.
Come terrore
passione sopraffaceva
e desiderio.
Intollerabile amore!
Voglio scrivere per parlare
e per tacere
voglio scrivere per pensare
e per sognare
voglio scrivere per giocare
e per danzare
voglio scrivere per amare
e per...non morire
Attimi lunghi
di pensieri brevi, uggiosi,
si trascinano
da lontanissime vicinanze,
ad impacciare movimenti lenti,
cadenze dello spirito
agghiacciate nella noia
del quotidiano andare.
E tu, sconosciuto reame dove a lungo abitai,
anche te, a schiena curva, trascino.
Non basta una carezza o un sorriso
ad alleviare incantati tormenti senza nome,
eppure noti al cuore.
Troppo ho chiesto a me stessa.
Adesso voglio solo lasciarmi andare.
Dove?
Lo saprò solo all' arrivo.
Lunga e soave è nel verso
l' attesa.
Lungo e soave è il verso
nell' attesa.
Attendo il mio passato:
da qui deve passare
dove parole impronunciate
lo dovranno inventare.
No, non s' inventa
Il passato.
Oppure si, s' inventa?
Nella memoria giace
che si fa parola,
che si fa verso incalzante
ad adescar l' aurora.
Lacrima mai sgorgata,
nel mio antico spartito
musica è divenuta:
un ignoto violino
trasforma ora il singhiozzo
in suono, che, per farsi
canto, attende un' altro suono.
In una vita passata
una delle mie tante,
avrei voluto il ... tempo
di fuggire
Aperti gli occhi
vidi il nulla.
Stava lì, raggomitolato
a raccontar di sé.
Popoli lo ascoltavano
incantati,
al suono della sua voce
vibravano irretiti.
Mi avvicinai tremante
lo riconobbi subito,
all'istante.
Il nulla avvolge come seta
e non lascia aperta
alcuna via d'uscita
In una vita passata
avrei avuto il ... tempo
di fuggire.
In questa ero lì con gli altri
Ma ero a...maledire.
Alla fine
raccoglierò da terra
i piccoli pezzi sparsi
della nostra storia.
Il suono delle nostre parole,
le loro sillabe insulse
e poi
ad una ad una le loro lettere
ormai quasi dissolte.
Alla fine delle lettere,
ricomincerò.
Magicamente ricomporrò
lettere, sillabe,
suoni, parole
e dentro di essi,
forse,
inizierà...una nuova storia
Non c' eravamo preparati. Eppure si! Eravamo preparati.
Da troppo tempo ormai la tua vista te l' eri lasciata alle spalle.
Lo dicevi tu stesso, scherzando, col tuo solito humor: vedo con gli occhi di dietro, quelli davanti si stanno riposando.
E mi guardavi ma mi vedevi come sfocata. Mi toccavi il viso come per ripassarti i miei lineamenti, puntandomi addosso quasi con rabbia, quelle tue ultime lame di vista.
A poco a poco hai smesso di guidare, e ti facevi portare: era per stare di più insieme, dicevi.
A poco a poco hai smesso anche di leggere: ascoltare musica era una vera e propria terapia. Più ne ascoltavi, più stavi meglio.
A poco a poco quelle tue mani che diventavano sempre più svelte, abili ed invadenti.
E poi i tuoi congedi dal lavoro, sempre piu lunghi ed io che toglievo dai tuoi percorsi soliti tutto cio che non avresti potuto vedete con gli occhi dell' abitudine...per evitare danni e soprattutto per aiutarti a soffocare la tua ribellione interna, il tuo pugno alzato contro Dio.
Ma speravamo. Speravamo ancora, a denti stretti, mentre la tua, la nostra notte scendeva.
Una speranza assurda, se vuoi, che però talvolta per noi assumeva i toni della certezza: dopo l'operazione tutto sarebbe andato meglio.
Abbiamo puntato su quello. .Non che avessimo altra scelta
E siamo andati avanti, rubando questi mesi alla malattia, alla notte! Ridendo, piangendo. Piangendo, ridendo. Chi di noi ha sofferto di più? Tu con la terrificante paura di divenire un peso per me, di dimenticare a poco a poco i miei lineamenti? O io con la terrificante paura che tu pensassi, che avessi paura di essere un peso per me e con la certezza, ormai, che proprio tu, solo tu non avresti più potuto vedere il mio viso, la mia espressione, tutto ciò che invece gli altri avrebbero continuato insolentemente a vedere? A vedere di me che ero solo del tuo sguardo.
E oggi il verdetto: nulla da fare!
Ti ho preso sotto il braccio e ci siamo incamminati insieme, nel sentiero ... del silenzio!
Insieme!
Un soffio, una sera, l' udito dell' anima percepì la tua presenza, impalpabile, ineffabile struggente. Fosti tu a scegliere me quando io non c' ero. Mi scopristi altrove, assorta in un sospiro. Cercai di allontanarmi, ero turbata. Versi vennero fuori tutt' a un tratto. Abitavano me? Non saprei dire. Ogni verso è sorpresa: inaspettata. Mistero d' amore trasparente. Segreto appena sussurrato. Tanti veli sollevo da quel giorno a trapassar le nubi. Un dialogo continuo e mai mi basta.
Il sole aprirà le sue finestre,
le spalancherà per fare
uscir la luce
e l' ombra svanirà.
Lei con grazia di Venere s' avanza
deliziosamente affranta
per il tempo perduto.
Ma sorride.
Le sue vesti ondeggianti
e profumate, fluttuano
leggere sul tuo viso
e ad ogni fruscio, la brezza
odorerà di ardore.
Conosci tu viandante
l'odore dell' ardore?
Quando il sangue
che pulsa nelle vene
senza nessuna cura
diventa una cascata di
adrenalina pura?
L' attendevi!
L'amaro del passato
s'era dissolto
dinnanzi al suo sorriso.
Ora era solo vaga
reminiscenza che
subito svaniva in sua presenza
Speranza e desiderio,
desiderio e speranza
adesso erano insieme
ad offrirti premurosi
i loro servigi ardimentosi
E lei ti sorrideva provocante,
aperta sotto il seno
la veste conturbante,
poi d'improvviso ritornò al suo vaso,
lasciandoti di stucco
... con un palmo di naso!
Vorrei togliermi di dosso
le mie vesti: sono consunte
luride, sdrucite.
Hanno indossato la tempesta,
torbidamente l'hanno attraversata.
Non c' è purezza in loro, né onestà.
Per vicoletti bui e strade senza uscita,
per salite scoscese, affaticate,
per malsane pareti scrostate dagli affanni,
da compromessi infingardi, dai miei danni,
le ho trascinate senza pietà.
Avrei voluto per loro bei salotti,
verdi prati a compiacer la pelle
e invece le sento appiccicate addosso,
pronte a testimoniare la mia vita
crudamente, prima che sia finita
Vorrei strapparmi di dosso
queste vesti, ma la mia carne nuda
è ricoperta da piaghe verminose,
simili nell'aspetto ad ulcere lebbrose
Sono io quella? Ahhh la sorpresa!!!
Voglio indossare ancora le mie vesti.
Sono le sole ad aver di me pietà!
Non c' eravamo preparati. Eppure si! Eravamo preparati.
Da troppo tempo ormai la vista te l' eri lasciata alle spalle.
Lo dicevi tu stesso, scherzando, col tuo solito humor: vedo con gli occhi di dietro, quelli davanti si stanno riposando.
E mi guardavi ma mi vedevi come sfocata. Mi toccavi il viso come per ripassarti i miei lineamenti, puntandomi addosso quasi con rabbia, quelle ultime lame di vista.
A poco a poco hai smesso di guidare, e ti facevi portare: era per stare di più insieme, dicevi.
A poco a poco hai smesso anche di leggere: ascoltare musica era una vera e propria terapia. Più ne ascoltavi, più stavi meglio.
A poco a poco quelle tue mani, le lunghe dita diventate sempre più svelte, abili ed invadenti.
E poi i congedi dal lavoro, sempre più lunghi ed io che toglievo dai tuoi percorsi soliti tutto ciò che non avresti potuto vedere con gli occhi dell' abitudine...per evitare danni e soprattutto per aiutarti a soffocare la tua ribellione interna, il tuo pugno alzato contro Dio.
Ma speravamo. Speravamo ancora, a denti stretti, mentre la tua, la nostra notte scendeva.
Una speranza assurda, se vuoi, che però talvolta per noi assumeva i toni della certezza: dopo l'operazione tutto sarebbe andato meglio.
Abbiamo puntato su quello. Non che avessimo altra scelta
E siamo andati avanti, rubando questi mesi alla malattia, alla notte! Ridendo, piangendo. Piangendo, ridendo. Chi di noi ha sofferto di più? Tu con la terrificante paura di divenire un peso per me, di dimenticare a poco a poco i miei lineamenti? O io con la terrificante paura che tu pensassi, che avessi paura di essere un peso per me e con la certezza, ormai, che proprio tu, solo tu non avresti più potuto vedere il mio viso, la mia espressione, tutto ciò che invece gli altri avrebbero continuato insolentemente a vedere? A vedere di me che ero solo del tuo sguardo.
E oggi il verdetto: nulla da fare!
Ti ho preso sotto il braccio e ci siamo incamminati insieme, nel sentiero del buio... in silenzio!
Insieme!
E in poesia
Abiterò il tuo silenzio
e le sue grida.
Abiterò il tuo buio
e la sua luce.
Abiterò tra le dita delle tue mani
sui tuoi polpastrelli bianchi
quando il viso mi toccherai
cercando i miei lineamenti
tirati e stanchi.
Bacerò le tue palpebre sottili
sopra i tuoi inutili occhi gentili
coglierò per te fiori tra i tuoi rovi
col loro profumo aspergerò
ogni anfratto dell'anima
mai paga di starti ancora
e ancora
accanto!
Ti attesi trepidando
per nove, lunghi mesi.
Come saresti stato? Mi chiedevo.
Provavo a immaginare
le fattezze del tuo volto
e non ci riuscivo.
Avvertivo i tuoi movimenti
nel mio grembo e sorridevo.
Ora sei nato, figlio dell' amore,
accanto a me riposi nella culla.
Ti prendo tra le braccia, sei tutto
roseo, indifeso, piccolino,
di tenerezza mi riempi il cuore
Fermati tempo, non volare!
Fissa quest' attimo del
mio cammino.
Bussano alla porta.
corro ad aprire:
sei tu che arrivi.
Hai la fronte aggrottata
dai pensieri.
Perché ha avuto così fretta il
tempo di passare?
Perché non si è fermato?
Ma quando ti rivedo,
come allora, di tenerezza
mi riempi il cuore!
Spazio aperto è il mio cuore
È un cuore liquido,
vuole versarsi in te.
Accoglilo, non fuggire.
In un mare immenso d'amore
dolcemente
Deliziosamente
Intrigantemente
Impertinentemente
Ti lascerò annegare