li misero in ginocchio
a torso nudo
i bendati lasciavano fare,
muti, dissero "sali" all'ultimo respiro pungente
prima di esalarlo
la civiltà dei boia si
un corpo che sta
dentro
un corpo che va
un qualcuno solo a metà
guadare il fiume del senza senso
il venir meno quotidiano di pezzi di “sé’”:
il sé dalle gambe
dalle braccia
dalla pelle,
dal cuore
infine dalla parola
come una perdita di rime
apparire
solo sparendo,
allucinazione e verità,
non sono nulla di ciò che mi circonda
un resoconto
sotto l'epidermide della stranezza:
essere
qualcuno solo a metà
chi non ha uno
spaventapasseri
nel proprio giardino?
io l' ho spogliato
ora è nudo
il cappello per terra
pieno di aromi
e di luce
mi mandava lettere
col pettirosso senza
firmarle
ma io sapevo
che era lui
scriveva:
gira al largo
non farti ghermire
da mani
con dita affusolate come spine
come le mie,
lasciano monconi
d'anima
mentiva
mi ha lasciata
con i suoi
abiti addosso.
la sua bacchetta magica
per il mio
moncone d'anima
Le labbra non si sono
aperte
il silenzio le
ha trasformate:
pietre violente della mente
non aiutano più le mani
ad accarezzare
a comprare fiori
—-
vieni da me, disse il mondo*
perché? - chiesi
per contare gli SMS illimitati
della scheda nuova
(*L Gluck, “Ottobre 3” da “Averno”)
L. Triolo, “Essemmesse” ora in “Sulle Pendici dell’altro”
non si appartiene veramente
che
alla paura di incontrare
se stessi
non ha speranza
l'ombra della rosa
non ha profumo
pettinare sogni
e’ solo un lampo con radici
nel sangue
l'ombra della rosa
incenerisce
guardare dal buco della
serratura
l'attimo di scena cui
Tu che non sai tenere nulla tra le mani
con la scusa che
dentro ci pulsa un cuore
hai trovato un pensiero scombinato
e ti chiedi:
quale “lontano” me ne ha parlato?
e non sai di chi
io sogno
cosa che nessuno sa fare
e venne l'ombra
la grande statua
in lei camminava il mio nome
silenzioso,
senza tempo da perdere
nessuna avarizia in lei mentre,
gonfia di vento,
accarezzava gigli di campo
io la spiavo
"sono io", le dissi
ma non credo se ne sia accorta
chi può dire se
sia mai stata triste:
Il grembiule
Angelina aveva sempre
un grembiule a scacchi bianchi e rossi,
annodato sui fianchi
“per non sporcarsi”
diceva.
Una difesa, piana, liscia:
una pianura
Non ho mai capito bene:
sporcarsi da cosa?
cosa temeva lei
che lavava l’intimo sulla tinozza
di pietra:
mani, limone e sole
di certo il grembiule l’aveva
anche quel giorno
di pallore
appeso con lei
alla trave
la sua pianura di difesa
il suo mistero
"mi serve tempo
per uscire dal mio tempo,
non so che altro dire"
non mentiva l'oblio:
agghindate d'assenza
le sue parole
l'io recita nei suoi ricordi
frattura in silenzio
la sua voce
intorpidisce il profumo delle rose
percorse in me
se stesso
ove esiste quel che
chiamo “il mio tempo”?
quel tempo
dagli occhi percorsi solo in parte
mi traghetta su rapide
chiede di essere punta di faretra
e lanciato
in un arcobaleno
la coscienza
come un' ostrica
si chiude
è pur sempre
un segnale